Nei giorni scorsi sono stata in vacanza in Trentino Alto Adige e ho scoperto qualcosa che non conoscevo. Tutto nasce dal fatto che, camminando nei boschi, mi sono più volte imbattuta in cataste di legna numerate e contrassegnate con i nomi di varie frazioni della zona.
In questa regione esistono ancora oggi porzioni di pascolo e di bosco che hanno proprietà collettiva. Si tratta di aree le cui risorse (legna, erba e fieno per gli animali) vengono sfruttate in comunione dalle varie comunità montane e suddivise tra le persone che di tali comunità fanno parte.
Da quello che ho capito, domandando un po’ in giro, proprietà collettive, usi civici e determinate “servitù”, nate nel Medioevo, si sono progressivamente ridotte nei secoli, ma mai si sono estinte. Nel tempo sono state introdotte norme che tendevano sostanzialmente a sciogliere la terra dai “vincoli comunitari” per immetterla sul mercato. La persistenza di tali pratiche dimostrerebbe invece la resistenza di una volontà “collettivistica” che è della montagna trentina. Una vicenda che testimonia la capacità di autogoverno delle comunità e che aggiunge ulteriori riflessioni alla tematica della rilevanza degli usi e delle consuetudini nella disciplina degli usi civici e della proprietà collettiva.
Ha fatto alcune brevi ricerche e mi risulta che, in Italia, presenza di “terre comuni”, attraverso i secoli per arrivare al presente, si abbia anche in Friuli Venezia Giulia e in Sardegna. Credo siano buoni esempi di Commonfare, di “fare comune”. Mi piacerebbe saperne di più, se qualcuno avesse voglia di raccontare e di spiegare.