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STORIE

Scriviamo una fiaba partecipativa

Cappuccetto Rosso "spiegato" a un migrante

Chaperon rouge

di Gianmarco Mecozzi


Caro Migrante X, ti voglio raccontare quanto mi è accaduto qualche giorno fa.

Se ti annoi, non ti preoccupare, puoi smettere di leggere quando vuoi. Il nostro caro Ministro degli Interni non ti toglierà il permesso di soggiorno per questo. Almeno, ancora no.

Dunque, ero a Roma e parlavo con M., amico di origini senegalesi di cui non dirò il nome, migrante da dieci anni in Italia, e ho fatto una battuta sulla favola di Cappuccetto rosso. Ora non mi ricordo che battuta era, ma aveva a che fare con il lupo della favola.

M. mi guarda di traverso e mi dice: «Il lupo? Non capisco. Che intendi dire?»

«Ma sì, dai!, il lupo di Cappuccetto rosso, lo conosci anche tu. Anche se sei un feroce migrante venuto qui a sostituirci e a distruggere la nostra civiltà europea, la favola di Cappuccetto rosso la conoscerai anche tu», scherzo io.

Lui: «Mai sentita».

La cosa mi ha dato da pensare.


Le favole sono importanti.

Rappresentano un tentativo antico – una elaborazione magica e grandiosa – di dare voce ai bisogni immediati e profondi dell’essere umano. Le favole sono i miti dell’infanzia dell’umanità. E sono i miti di ognuno di noi, da «pupi». Sono, probabilmente, ciò che rimane dei riti che scandivano le età dell’uomo primitivo, il loro racconto magico: appunto, la loro favola. Sono uno dei modi più innocenti di comunicare ciò che siamo, ciò di cui abbiamo paura, ciò che vogliamo. Sono, anche, la prima cassetta degli attrezzi che un bambino possiede per farci capire cosa è, cosa di cui ha paura, ciò che vuole. Le favole sono didattiche, sconvolgenti, terrorizzanti. Sono contemporaneamente piene di significato e assurde, coinvolgenti e senza senso.

Le favole sono importanti, e il fatto che M. non conosca Cappuccetto rosso (e che io non conosca le sue favole, sia chiaro, lo dico anche – soprattutto – per me) mi ha dato da pensare.

Caro Migrante X, non so se tu conosci la favola di Cappuccetto rosso (magari sì, e allora smetti di leggere, altrimenti ti annoi) ma ecco insomma, io te la racconto al volo per vedere l’effetto che fa.

Qui trovi la versione dei Fratelli Grimm.

Qui quella di Charles Perrault (tradotta in italiano dal grande Collodi, autore di Pinocchio).

Non trovo le versioni in francese, caro Migrante X, fa il favore e cercatele da solo.

Ah no, eccone una, qui.


Dunque, Cappuccetto rosso.


La favola racconta di una bambina a cui la madre chiede all’improvviso di andare dalla nonna (che – a quanto pare – non si sente bene) a portarle qualcosa da mangiare. Nel tragitto la bambina incontra un lupo, ci si ferma a parlare e gli dice dove sta andando. Il lupo la precede, entra nella casa della nonna, se la mangia e si mette al suo posto nel letto. Quando arriva Cappuccetto rosso, il lupo fa finta di essere la nonna e si mangia pure la bambina.

Questa è la parte della favola che, più o meno, è comune a tutte le versioni.

L’episodio del cacciatore, che viene a salvare nonna e bambina, non è comune a tutte le versioni. Per dire, le tre versioni con i link, qui sopra, hanno sia lo sviluppo della narrazione che i finali della favola diversi. Che ci vuoi fare, caro Migrante X, così funzionano le favole. Di regola, non esiste una versione unica e condivisa della favola di Cappuccetto rosso. Ognuno di noi, poi, possiede la propria versione personale e combatterebbe fino (quasi) alla morte per difenderla. Ma tu questo lo sai, Migrante X, in quanto a narrazioni orali i griot africani non hanno da imparare niente da nessuno. In tutte le favole esistono delle varianti (delle cose che cambiano, delle invenzioni), e spesso sono proprio queste che offrono la chiave per capire il senso stesso della storia.

A me, per esempio, Cappuccetto rosso veniva raccontata come ammonimento a non dare retta agli sconosciuti (ai lupi) per strada, quando ero da solo. E anche a non lasciare la strada e a non entrare mai nel bosco. La madre di Cappuccetto rosso dice proprio così – ma non in tutte le versioni: «Non passare dal bosco che è pieno di lupi! E non parlare con gli sconosciuti!». È il significato più immediato, quello su cui calcava la narrazione di chi me la raccontava: non passare dal bosco e non dare retta agli sconosciuti. Facile, quasi elegante nella sua semplicità.

Ma non è l’unico significato.

Nella narrazione stessa, basta ascoltare con attenzione, ci sono alcune parti che sono più importanti di altre, più belle di altre, più «indimenticabili» di altre. La scena del dialogo tra il lupo (mascherato da nonna) e Cappuccetto rosso è la scena clou del racconto, come sanno tutti i bambini (che la sanno a memoria e la recitano sempre con gioia).

La mettiamo qui di seguito in francese, è così famosa che tutti la capiranno:

«Ma mère-grand, que vous avez de grands bras !
— C’est pour mieux t’embrasser, ma fille.
— Ma mère-grand, que vous avez de grandes jambes!
— C’est pour mieux courir, mon enfant.
— Ma mère-grand, que vous avez de grandes oreilles!
— C’est pour mieux écouter, mon enfant.
— Ma mère-grand, que vous avez de grands yeux!
— C’est pour mieux voir, mon enfant.
— Ma mère-grand, que vous avez de grandes dents!
— C’est pour mieux te manger».

Questa insistenza «scenica» significa – probabilmente – qualcosa. Il mascheramento del lupo nella figura della nonna potrebbe nascondere qualcosa di ben tenebroso. Potrebbe celare un ammonimento, talmente sconvolgente da dovere essere, appunto, ben mascherato. Il dubbio cioè che – nonostante tutto quello che ci viene insegnato – il lupo in realtà si «nasconda» non negli sconosciuti che incontriamo per la strada – comunque non solo lì – ma proprio nelle persone a noi più vicine: nei parenti, negli amici, nelle persone che ci amano, o dovrebbero farlo – tanto più quando la protagonista della favola è una bambina, una femmina cioè.

L’intera favola, d’altra parte, potrebbe essere ciò che ci resta, come testimonianza «magica», di un rito di passaggio che prevedeva, per il giovane adolescente in crescita da una età all’altra, una permanenza rituale e simbolica nel bosco. D’altra parte il bosco, la selva oscura, è uno dei simboli onnipresenti nelle favole e nelle storie di mezzo mondo.


Il finale della favola.


Il finale della favola nasconde altre insidie, e ne esistono così tante versioni diverse che è una specie di labirinto in cui perdersi, certo anche giocando. Il lupo, dopo il dialogo qui sopra, si mangia anche la bambina e la storia finisce così. È la versione di Collodi che fa terminare la favola con un severo avvertimento, soprattutto per le giovinette, di non dare confidenza agli sconosciuti ché di lupi ne è piena la strada. Altra versione: il lupo, dopo il lauto doppio pasto, si addormenta e russa così forte che un cacciatore che passa lì vicino si preoccupa della nonna, entra nella casa dalla finestra, uccide il lupo e dalla pancia escono fuori Cappuccetto rosso e la nonna. Ancora: il cacciatore entra sì dalla finestra ma non uccide il lupo, gli apre «solamente» la pancia e ne tira fuori la bambina e la nonna, poi chiude la pancia al lupo che, appena si sveglia, scappa. Una variante della medesima versione: il cacciatore apre la pancia al lupo, fa uscire la bambina e la nonna, riempie la pancia con grossi sassi; il lupo si sveglia e si sente male. Nella maggior parte delle varianti di questa versione, il lupo poi esce dalla casa e, appesantito dai sassi, cade nel fiume e muore affogato.

Basta così.

L’ultima versione del finale della favola che ti voglio raccontare è quella di Roald Dahl – l’autore di Fantastic Mr. Fox e La fabbrica di cioccolato – in cui Cappuccetto rosso spara al lupo. E te la metto qui sotto per farti capire, caro Migrante X, quante cose si nascondono ancora oggi dentro alle favole, dentro a questa favola in particolare:

Entra la bimba, guarda attentamente,
poi dice: «nonna cara, che orecchione!»
«son per sentirti meglio!» fa il birbone.
«che grandi occhi hai, cara nonnina!»
«son per vederti meglio, nipotina!»
E tirandosi su meglio a sedere
se la pregusta già con gran piacere:
«Uh, al confronto con la vecchia arpia,
questa sarà una vera leccornia…»
E dice allora Cappuccetto Rosso:
«che splendida pelliccia hai addosso!».
«ma no!» protesta il Lupo. «cosa fai?
Dovevi dire: “Che gran denti hai…”
Comunque è irrilevante la questione,
perché ora ti mangio in un boccone!»
La bimba rise e, senza una parola,
dalle mutande levò una pistola,
la puntò al muso di quel poveraccio,
e bang! Lui cadde giù come uno straccio.

Ora che ci siamo raccontati la nostra bella favola europea (che magari qualche politica colonialista avrà obbligato a leggere a milioni di africani, magari anche a te), ho una cosa da chiederti, caro Migrante X.


Facciamo un gioco.


Facciamo finta che Cappuccetto rosso sia un migrante, caro Migrante X. Facciamo finta che questa favola parli di te. Facciamo finta che Cappuccetto rosso parli di un migrante (meglio, una migrante) che deve andare da un posto (la casa di Cappuccetto rosso/ l’Africa) a un altro (la casa della nonna/l’Europa).

Ecco allora io ti chiedo: in questo caso chi è il lupo? caro Migrante X, è solo un gioco, ma chi rappresenta il lupo per te? Chi è il lupo per il migrante?

Rispondi eh. Altrimenti questo articolo non avrà finale.

O magari ne avrà tanti – tutti diversi, opposti, buoni o crudeli – come la favola di Cappuccetto rosso.

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2 Commenti

Card my life through a lens 110632

CommonADA

dicembre 03, 2018 at 14:15

Il lupo per me e' Boris Johnson

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Anonimo

maggio 30, 2019 at 10:43

Il lupo è la paura che cresce anche quando c'è luce