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COMMONERS VOICES

Pratiche di ricostruzione di “welfare dal basso”: esperienze di cooperazione sociale e mutualismo.

Nel corso della storia abbiamo assistito a innumerevoli fenomeni di cooperazione sociale e mutualismo dal basso.  In Italia possiamo scorgere come ad inizio 900 i primi movimenti di operai, artigiani e contadini sono stati i protagonisti di un grande movimento di autorganizzazione che ha dato vita a centinaia di cooperative, gruppi di acquisto, piccole casse mutue e rurali. Di questa epoca sono anche le le prime società di mutuo soccorso e le camere del lavoro. Di fianco ai movimenti di lotta per una società diversa e più giusta, si danno gli strumenti per dare risposte immediate su piccola scala.

Anche oggi sono migliaia le esperienze di resistenza che si originano da processi di lotta, si sedimentano, resistono e tessono relazioni in risposta al tentativo neo-liberista di subordinare ogni forma di vita e ogni area del sapere alla sua logica.

Leggere queste esperienze come casi individuali non rende giustizia alla portata del loro potenziale trasformativo. Seppure è vero che la nascita di alcune specifiche realtà ha permesso la riproduzione di altre ed ispirato la formazione su larga scala di nuovi fenomeni di resistenza e cooperazione, il fulcro propulsivo di molti di questi fenomeni  è correlato a importanti cicli di lotta e si dà nell'ambito di profondi sconvolgimenti economici e sociali.

Proprio per questo è utile leggere queste esperienze nel segno delle trasformazioni più ampie, in un divenire che va prende forma tra le pieghe di contesti storici e sociali specifici. In molti casi la resistenza e riproduzione di queste esperienze, oltre i cicli di movimento, ha permesso di mantenere un tessuto sociale e relazionale vivo e in alcuni casi di costituire luoghi di autonomia, organizzazione e proiezione verso il futuro.

In questo senso risulta utile puntare la lente su alcuni esperienze recenti che attraverso pratiche differenti, sono riuscite a proiettarsi con un valore altamente simbolico o addirittura prefigurativo nel contesto delle lotte sociali e politiche che hanno attraversato.

 

Un primo caso si iscrive nei fenomeni di resistenza alle trasformazioni dello spazio urbano europeo. Il processo di gentrification e di speculazione che ha caratterizzato i grandi centri ha dato il via alla mercificazione degli spazi dedicati alla cultura, alla creatività o alle attività sociali o ricreative. Contestualmente, con una grave accelerazione a partire dal 2008, abbiamo assistito ad un grave aumento delle diseguaglianze sociali, alla precarizzazione del lavoro ed alla dismissione del welfare state. A questo fenomeno, dalla fine degli anni ‘80 ad oggi, hanno risposto in varie ondate fenomeni di protesta cittadina attraverso movimenti di occupazioni di vario tipo, creando dei veri e propri laboratori metropolitani. Hanno visto la luce scuole di musica, asili autogestiti, spazi di riduzione del danno e di recupero dalle tossicodipendenze, spazi sociali e poi progressivamente anche teatri e cinema. Queste realtà hanno costituito negli anni osservatori privilegiati rispetto alla depredazione in atto, fungendo da sponda a nuove ondate di processi di recupero da parte di collettivi di lavoratori o gruppi di cittadini organizzati, a favore di processi di difesa e uso comune del patrimonio pubblico. Questi si sono sviluppati secondo forme e modalità organizzative molto differenti ed hanno messo in campo diverse modalità di interazione con il territorio circostante. Solitamente si configurano come spazi aperti, che hanno preso via dal recupero di luoghi lasciati all'incuria o al centro di grandi fenomeni di speculazione. Grazie a queste realtà, molte città europee sono ancora luoghi vivibili ed attraversabili, che forniscono spazi di solidarietà e che garantiscono la fruizione della cultura e l’utilizzo degli spazi urbani. Nel corso degli anni alcuni di queste realtà si sono specializzate maggiormente in attività di tipo culturale o si sono dedicate a specifici ambiti di intervento. Altre si sono evoluti sviluppando al loro interno spazi di mutuo aiuto, camere del lavoro, sportelli di assistenza. Ove possibile hanno dato vita a nuovi percorsi normativi, come quello inaugurato con gli usi civici nella città di Napoli. Una strada che aprirebbe al recupero dell’enorme patrimonio dismesso nelle città europee, sottraendolo immediatamente ai fenomeni di degrado e speculazione.

 

Altro caso particolarmente conosciuto è stato il fenomeno delle imprese recuperate in Argentina, che ha avuto il suo momento di massima visibilità immediatamente dopo la crisi del 2001. In questo contesto le fabbriche ed altri stabilimenti produttivi chiusi o abbandonati dai padroni vengono riaperti e rimessi in moto dagli ex lavoratori. Nel passaggio dalla gestione capitalista alla gestione collettiva le imprese diventano mezzi per garantire la sussistenza della comunità di lavoratori. Questo processo si è aperto a trasformazioni straordinarie aprendo una breccia nella consapevolezza sociale di quel tempo: i lavoratori possono organizzare e gestire da sé un’unità produttiva complessa come una fabbrica senza il bisogno del capitalista. La potenza simbolica di questo fenomeno è legata al più ampio movimento contro la crisi, culminato nel Que se vayan Todos.  Le fabbriche recuperate rappresentavano un anello di congiunzione tra una classe operaia di un paese industriale in avanzato stato di smantellamento ed il movimento dei disoccupati (piqueteros), che bloccava il paese e interrogava la società sulle contraddizioni della crisi predisponendo un’organizzazione capillare nei quartieri popolari.

Dal 2001 ad oggi i processi di recupero sono continuati e nel 2008 sono addirittura tornati ai livelli massimi. Ciononostante, in termini di mercato, queste esperienze affrontano serie criticità: la difficoltà di accesso al credito, approvvigionamento di materie prime, la sostanziale assenza di filiere sono fattori di svantaggio allo sviluppo di queste realtà. Queste potrebbero essere aggirate da tecnologie blockchain o da reti che puntano alla creazione di filiere solidali.

Nel corso degli anni molte imprese recuperate si sono organizzate in reti, hanno costituito tavoli territoriali ed hanno attivato procedure di soccorso in caso di sgombero. Possiamo dire che la lunga coda di questo processo ha fornito ai lavoratori uno strumento ulteriore con cui lottare, ma anche creato in molti casi meccanismi di cooperazione sociale più ampia: all'interno di molti degli spazi inutilizzati per la produzione sono infatti nati centri culturali e scuole popolari. Recentemente il recupero di mezzi di informazione ha segnato un nuovo punto di svolta con il recupero di importanti testate giornalistiche come Tiempo Argentino, la Manana de Cordoba, El Ciudadano di Rosario, aprendo un nuovo campo d’azione nell'informazione indipendente, che ha contribuito a dare nuova linfa alla narrazione ed alle potenzialità di questo fenomeno.

 

Infine, un terzo insieme di realtà è quello su cui ha gettato nuova luce il movimento femminista globale. La marea di Non Una di Meno in Italia ha riattivato le reti dei centri antiviolenza e delle case delle donne da un lato e dato nuova linfa ai processi di autorganizzazione dall’altro. In Italia abbiamo visto la nascita di nuovi spazi femministi come consultorie e queersultorie, reti di informazione indipendente, gruppi di autodifesa che stanno progressivamente vedendo la luce e che con molta probabilità si moltiplicheranno nel futuro. Ma a tal proposito vale la pena citare, nuovamente, la recente esperienza argentina. Qui il movimento per “l’aborto libero, sicuro e gratuito” ha accumulato forza grazie al rinnovato grido di Ni Una Menos. Con lo sciopero globale delle donne si è attivato un ulteriore processo di espansione la cui potenza sembra inarrestabile. Tra le pieghe del movimento argentino hanno però svolto un ruolo fondamentale la tessitura delle reti di cooperazione e mutuo aiuto preesistenti e quelle nate più di recente. Nonostante in Argentina, come in molti paesi dell’America Latina, alle donne sia negato il diritto all'aborto legale, grazie allo sforzo e la capacità di creare reti di sostegno, ogni anno migliaia di donne riescono ad abortire con misoprostolo in condizioni di sostanziale sicurezza. Questo avviene grazie ad una fitta rete di esperienze come quelle delle soccorriste (gruppi di appoggio ed accompagnamento), reti di professionisti della salute e di avvocati che si sono connessi con scuole, ambulatori ed altri luoghi in cui la Campagna si è organizzata ricodificando di fatto un pezzo di diritto alla salute.

Questa straordinaria pratica di autonomia e solidarietà compone uno dei punti fermi che ha permesso al movimento argentino di far fronte ad una apparente sconfitta e rilanciare immediatamente. Nel 2018, dopo la bocciatura della legge per l’aborto al Senato, un presidio di oltre un milione di donne è tornato ai propri luoghi di organizzazione, con l’obiettivo di raccogliere ulteriore potenza. Nel mentre ha istituito da sé una costellazione di spazi femministi, di cooperazione solidarietà ed autonomia che configurano già qui ed ora una dimensione pubblica e visibile della cura.  

 

 

 

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