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COMMONERS VOICES

Lavoro volontario e gratuito: cambiando il luogo e la mission il risultato non cambia

Di lavoro volontario se ne parla sempre di più, al punto che praticamente non se ne parla più.
Strano vero? 
Ricordo quando se ne è parlato tanto durante Expo, ricordo i dibattiti, e la giusta incazzatura di molte persone e realtà della sinistra varia, perché “l’ltalia è una repubblica fondata sul lavoro” e “il lavoro si paga”.
Si scomoda facilmente Pertini per l’anniversario del 1 maggio e si fa la retorica dei morti sul lavoro durante il festival di San Remo ma poi la materialità del quotidiano sembra essere assai più concreta della retorica e la totale e oramai consolidata frammentazione dramatizzata e precaria porta ad accontentarsi un po’ di tutto.
Tanto per arrabbiarsi basta scomodare i poveri migranti che ci rubano il lavoro, lo sappiamo, insomma, sempre meglio calpestare chi sta sotto di noi che provare a prenderesela con chi sta sopra.
Nel frattempo, mentre chiacchieriamo di quale forma del lavoro è possibile reinvetare, di sindacalizzare un soggetto piuttosto che un altro, di resistere o di fare vertenze più o meno forti continuano a moltiplicarsi momenti e luoghi del lavoro volontario.
Ma facciamo un esempio facendo nomi e cognomi. In questi giorni uno tra tutti si è distinto, come evento, per la sua sfrontatezza: l’Arf festival di Roma.
Un festival che ha il merito di portare il fumetto al centro della città di Roma e di farlo anche con una certa qualità e capacità, va detto. Partecipano infatti a questo evento tra i migliori fumettisti in circolazione.
Detto ciò in questi giorni in un post facebook annunciava con le parole che copio e incollo qui sotto:

ARF! NEEDS YOU!
Siamo alla ricerca di persone appassionate di fumetto, con una buona resistenza nelle gambe, braccia forti, voglia di fare, un sorriso che supera ogni ostacolo e che siano disposte ad aiutarci e a collaborare con noi dietro le quinte del Festival.
Per poter partecipare come Arfers Volontari al Festival è richiesto un c.v. e una breve lettera motivazionale da inviare a: volontari@arfestival.it entro le ore 24 del giovedì 10 maggio 2018. Per i volontari è previsto in omaggio un Arf Kit.
La disponibilità dei volontari è richiesta nelle giornate tra il 23 e il 28 maggio, per almeno quattro delle giornate.
L’impegno richiesto è di un turno giornaliero.
I turni sono due:
TURNO A 9.00 - 15.00
TURNO B 15.00 - 21.00


Come si potrebbe commentare un testo come quello che leggete qui sopra se non come qualcosa di un’arroganza senza precendenti?
Si tratta non solo di lavoro gratuito in turni da 6 ore pagato con un “arf kit” ma per farlo è necessario essere dotati di “una buona resistenza nelle gambe, braccia forti, voglia di fare, un sorriso che supera ogni ostacolo”, tutto qui? Magari un massaggio ai piedi degli organizzatori prima di andare via? Non so..
E non mi si venga a dire che questo è l’unico modo per far sopravvivere un festival, perché così sopravviverà il festival ma non questi ragazzi che ci lavorano.
Non tiriamo fuori che “serve a fare curriculum” perché qualcuno deve anche spiegarci ad un certo punto chi mai al mondo sarebbe disponibile ad assumere e contrattualizzare una persona per il fatto che prima ha lavorato gratuitamente in uno o più festival.
Ma l’Arf festival non è di certo qualcosa di isolato o di nuovo.
Altri eventi simili, magari in maniera meno arrogante, hanno fatto e fanno lo stesso
Copio e incollo un altro post:

Per diventare volontari a #BookPride18 potete leggere questo agilissimo manualetto, con una postfazione del direttore Giorgio Vasta. Oppure potete candidarvi con una ancor più agile mail a programma@bookpride.net (il curriculum vitae è gradito ma non necessario, ci bastano due righe in cui ci raccontate chi siete e cosa leggete).

Giusto un paio di dettagli.
 🙋‍♂️ Tutti i volontari saranno coordinati dal nostro staff.
 🙋‍♀️ Sarebbe meglio esserci per almeno 2 su 3 giorni della fiera (daremo la precedenza ai volontari che ci assicureranno la loro disponibilità per tutti i giorni).
 🙋‍♂️ Ai volontari chiederemo (perturbazioni meteo permettendo) di indossare una splendida maglietta Book Pride e un badge che li renderà immediatamente riconoscibili (oltre che molto trendy).
 🙋‍♀️ Non vi butteremo nella mischia senza istruzioni!
Cosa faranno i volontari?
 🙋‍♂️ Attività di segreteria e accoglienza.
 🙋‍♀️ Presidio delle sale conferenze.
 🙋‍♂️ Distribuzione di materiali informativi.
 🙋‍♀️ Supporto al nostro staff
.”
 
Tutto un altro stile, va riconosciuto, ma nella sostanza cambia qualcosa?
La fiera in questione è una fiera di piccoli e medi editori con un programmazione molto di sinistra, a quanto pare, ma non è una novità che il lavoro gratuito è proprio una cosa di sinistra.
Per fortuna non tutta, tant’è che a quanto pare qualcuno glielo ha fatto notare e sembra ci sia stato chi pure all’interno dell’organizzazione si sia un tantino indignato, indignazione che però non ha dato molti effetti pubblicamente mentre questo post potete ancora trovarlo pubblico sulla loro pagina.
Tra i commenti, in buono stile della sinistra, si è provato a dire che praticamente non era lavoro volontario e gratuito quello che si chiedeva ma una sorta di “militanza” da parte di persone che volevano sostenere l’evento.
Sfugge un piccolo particolare a chi ha argomentato così argutamente, e cioè che la militanza la fanno i miltanti all’interno della propria organizzzione, di solito, non per le altre, ma anche fosse allora forse sarebbe potuto bastare tenere questa proposta al loro interno o dire, che so, “vi paghiamo in libri” che comunque se si parla di un numero minimo di libri un senso lo ha.
 
Ma quest’ultima parte ci da lo spunto e la sponda per un ragionamento che si rimanda in continuazione e non mi sembra venga affrontato in maniera concreta.
Quando si parla di militanza, infatti, credo che molto spesso si entri in un ambito di ambiguità assoluta.
Aldilà di una riflessione che potrebbe essere molto lunga (e non oggetto di questo brevissimo articolo) sullo stile della militanza, la crisi della stessa e l’eventuale importanza di reinvetarne le forme, mi pare di notare, che si porti dietro delle contraddizioni fortissime, molto note e che sembra non se ne possa quasi parlare,
Intanto: dentro casa abbiamo la coscienza pulita?
 Qual’è il limite dell’autosfruttamento o dello sfruttamento da parte di più o meno piccole realtà politiche basate su una forma di militanza che comprende un completo e infinito volontariato?
Non crediamo che potrebbe essere utile porsi in maniera concreta questa domanda quando si parla di nuove fome del lavoro, di reddito, di impresa sociale e di cooperazione produttiva o perché no, di mutualismo?
Forse, azzarderei, potrebbe addirittura essere proprio una buona occasione per farlo.
Concludo questo breve articolo chiarendo che il mio intento non è quello di attaccare i due eventi citati, di sicuro c’è un enorme problema e un’enorme povertà quando si parla di cultura in Italia, sappiamo tutti che è difficile trovare modi di essere sostenuti economicamente, sappiamo che le istitutuzioni non lo fanno e sappiamo che chi oggi si muove dentro questo ambito deve portare avanti una quotidiana lotta per la sopravvivenza.
La speranza sarebbe che però questa lotta, appunto, si facesse verso l’alto e non verso il basso.

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3 Comments

Anonymous avatar

Anonymous

May 11, 2018 at 11:57

A proposito di lavoro gratuito ... in questo caso l'alternanza scuola lavoro fa danni materiali: Incidenti sul lavoro: ferito studente di 16 anni in stage. Il ragazzo è allievo di un istituto professionale della provincia di Udine ed era impegnato in uno stage di formazione. Si è semiamputato una mano http://www.repubblica.it/.../incidenti_sul_lavoro_ferito.../

Anonymous avatar

Anonymous

May 23, 2018 at 18:12

Be diciamo che se non ci fosse stato lavoro "volontario" l expo di Milano non avrebbe funzionato ... ormai il lavoro volontario mascherato da "ti serve per il curriculum" pare aver superato la già triste realtà della precarietà...

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Rankis

July 03, 2018 at 18:20

bè siamo all'economia della promessa. Ti prometto che forse ti assumo ma intanto lavora... con questa speranza che martella il cervello stai li che superi le ore richieste, ti danni l'anima ed il corpo sperando che qualcuno osservi le tue capacità e disponibilità e poi finisce, come era ovvio, che ti dicono grazie, avanti il prossimo... la promessa diventa lavoro che produce valore e plusvalore e diventa economia... per alcuni profitto, per la maggioranza sfruttamento... dovremmo raccogliere idee su come ribaltare la promessa in rifiuto, il danno all'anima e al corpo in riappropriazione di tempo, la triste frase "avanti il prossimo" con una sonora serrata in cui "il prossimo non si fa avanti" perchè ha ben altro da fare che sottostare all'economia della promessa. Forse su queste pratiche di rifiuto e complicità, la cooperazione sociale dovrebbe interrogarsi e mettere in campo pratiche del possibile... dall'economia della promessa alle pratiche del rifiuto possibile. Anche questo fa economia, sopratutto se il punto di complicità comune diventa la rivendicazione di un reddito di base incondizionato. Rifiuto e scelta come pratica comune...